Carnevale di Termini Imerese
Intervista al prof. Luigi Ricotta sul Carnevale di Termini Imerese
Termini Imerese Lunedì 17 Settembre 2012
Il
prof. Luigi Ricotta è da annoverare nelle memorie storiche del Carnevale di
Termini Imerese (PA) come il primo studioso a rendere noto in modo scientifico
la storia del Carnevale Termitano. La Tesi di Laurea inedita, reca il titolo
“Aspetti del Folklore di Termini Imerese” e fu discussa dal Ricotta sotto la
sapiente guida del Relatore prof. Giuseppe Cocchiara, presso la Facoltà di
Lettere dell’Università degli Studi di Palermo nell’anno accademico 1956-1957.
La Tesi raccoglie in una particolare sezione i punti fondamentali che
caratterizzano l’importante manifestazione carnascialesca termitana. A rendere
più rilevante questo studio è stata la guida del suo relatore, il noto
antropologo ed etnologo italiano Giuseppe Cocchiara (1904-1965) discepolo di
Giuseppe Pitrè (1841-1916) che fu il creatore della scienza sul folclore
Italiano, in particolar modo quello siciliano. Luigi Ricotta è anche noto nel
campo delle ricerche sul folclore per essere stato l’ideatore del “Censimento
delle tradizioni orali” attraverso il “Metodo capillare” per la raccolta delle
tradizioni orali, canti e racconti popolari siciliani da inserire in un
“Archivio delle tradizioni orali”. Tale metodologia di ricerca, realizzata dopo
un primo esperimento nel 1969 e messo a punto l’anno successivo con la
collaborazione degli insegnanti di Lettere della Scuola Media “Cocchiara” di Borgo
Nuovo (PA) e dai loro alunni ebbe un largo e positivo consenso da parte di
esimi studiosi quali: Paolo Toschi, Vittorio Santoli, Giorgio Nataletti, Giovan
Battista Bronzini, Carmelina Naselli e Giorgio Piccitto. Al Prof. Luigi Ricotta
rivolgiamo alcune domande sulla storia del Carnevale Termitano.
Professore
Ricotta, innanzitutto grazie per averci concesso l’intervista, e non possiamo
che parlare di Carnevale giacché Lei è stato il “Decano” della storia del
Carnevale di Termini Imerese descrivendola scientificamente in una sezione
della sua Tesi di Laurea dal titolo “Aspetti del Folklore di Termini Imerese”,
Tesi di Laurea depositata presso la Biblioteca “Liciniana” della stessa città a
cui numerosi studiosi hanno attinto per le loro ricerche. Le chiediamo per
prima cosa che ricordi ha della sua infanzia e adolescenza intorno a questa
storica manifestazione? E inoltre se c’è un’annata del Carnevale Termitano che
ricorda particolarmente?
Io
sono nato a Termini Imerese nel 1934. Tutto quello che ho scritto e conosciuto
del Carnevale di Termini nella mia adolescenza, riguarda gli anni successivi
alla fine della Seconda Guerra Mondiale, cioè dal 1944 in poi. Nell’anno
scolastico 1942-1943 le scuole furono chiuse già nel primo trimestre per i
fatti di guerra: nel luglio del 1943 conobbi i bombardamenti di Termini, le
navi affondate, le case distrutte, i morti sotto le macerie e, per due volte,
rimasi vivo per miracolo. Non ricordo esattamente in quale anno dopo la guerra
ricominciarono le sfilate dei carri allegorici col “Nannu e la Nanna”. Una cosa
è certa: che la fine della guerra portò negli animi un vivo desiderio di
dimenticare le tristezze della guerra e di riappropriarsi della gioia di
vivere. Pertanto, dopo l’Epifania del 1944 tornarono a vedersi per le strade
ragazzi mascherati, fuareddi, assicutafimmini (n.d.R. petardi), scherzi con
tante risate, qualche carretto con mascherati sopra, ma le sfilate con carri
allegorici ricominciarono alcuni anni dopo. Anche perché i locali della Caserma
La Masa, dove si costruivano i carri, furono usati, ancora per altri anni, come
campo profughi.
Qual
è l’origine del termine Carnevale?
L’origine
del termine Carnevale deriva da carne levare (n.d.R. togliere la carne) perché
dopo questo periodo di allegria comincia l’astinenza penitenziale dalle carni
per l’inizio della Quaresima.
Ci
parli dei personaggi basilari del Carnevale di Termini Imerese “U Nannu”
(nonno) e a Nanna (Nonna). Chi sono questi due simpatici protagonisti? E cosa
rappresentano nella simbologia carnevalesca questi vegliardi personaggi con la
loro mimica, le loro espressioni gestuali e nel loro tipico abbigliamento?
Il
Nannu è il personaggio fondamentale, colui che in Sicilia personifica il
Carnevale stesso e che, nel significato originario, non è altro che l’anno che
muore (anticamente, infatti, coincideva col Capodanno). La sua morte, a dire
del folclorista Paolo Toschi, “intende eliminare il vecchio e il male, tutto
ciò che nell’anno che finisce in quel momento e in quel modo, è rimasto senza
forza produttiva se si è caricato di malanni e di colpe”. Ecco perché in
Sicilia esso è personificato in un vecchio: il Nannu. Infatti, citando ancora
il Toschi, “nella mentalità primitiva e popolare opera l’idea che si può
eliminare il male trasferendolo sopra un oggetto, sopra una bestia, sopra una
persona umana, e anzi in essa concentrando tutti i mali della comunità; così
basta sopprimere o allontanare questo qualcuno o qualcosa su cui si sono
accumulati i mali di tutti, e l’intero popolo diventa puro e sano”. Il vecchio
“Nonno che viene bruciato è dunque quello che per i Romani era Veturio Mamurio,
il Re dei Saturnali, il vecchio dio dei raccolti che veniva scacciato perché
ormai non più valido per la crescita dei nuovi, ed è il capro espiatorio,
l’agnus qui tollit peccata (n.d.R. l’agnello che toglie i peccati) del piccolo
mondo paesano”.
Che
cosa rappresenta simbolicamente la figura della Nanna? Lei pensa che la figura
della Nanna sia un prodotto locale che riguarda soltanto la città di Termini
Imerese?
Accanto
al personaggio del Nannu troviamo la Nanna. Essa non rappresenta la Quaresima,
ma la moglie del Nannu, quindi nessun contrasto avviene a Termini tra questi
due personaggi, che, anzi, vanno assai bene d’accordo e si fanno anche carezze.
Professore,
la figura del Nannu è esclusiva del Carnevale termitano?
La
figura del Nannu, altrove viene impersonificata in un orso, come nel Friuli, in
un tacchino, come nel Monferrato, ed anche in un semplice fascio di paglia,
come in alcuni paesi della Lombardia.
L’etnologo
Giuseppe Pitrè (1841-1916) ritiene che la figura della Nanna sia stata aggiunta
in tempi successivi a quella più antica del Nannu; mentre il folclorista Paolo
Toschi (1893-1974) sostiene che la figura femminile della Nanna non è recente
ed è largamente diffusa negli altri Carnevali. Qual è la sua opinione?
L’etnologo
Giuseppe Pitrè, considera la maschera della Nanna come un fatto isolato,
capriccioso, non tradizionale, una recente “creazione di cattivo gusto che in
Sicilia non ha nessun fondamento”. Non è di questo parere il folclorista Paolo
Toschi, il quale dimostra anzitutto che la presenza di un personaggio femminile
accanto al Carnevale è diffusa su vasta area, e poi conclude che “moglie,
antagonista o alter ego femminile del Carnevale, la Vecchia ha importanza non
meno del Carnevale stesso”. A tale scopo il Toschi, fra le molteplici forme in
cui questa Vecchia è rappresentata nelle varie Regioni, distingue due tipi
fondamentali: la Vecchia magra e allampanata, che s’identifica con la
Quaresima, e quella gigantesca, adorna e ripiena di frutta e di salsicce, che
ha quindi un significato propiziatorio di fecondità e di abbondanza,
accostandosi alla figura della Befana. In questi due tipi fondamentali il
Toschi scorge i due principali aspetti del rito: quello di eliminazione del
male, col segnare o bruciare il fantoccio, e quella di propiziazione della fecondità
e dell’abbondanza, con la distribuzione di arance, nocciole, confetti, monete
ecc.; ma il popolo non bada a queste sottigliezze. Per esso la Nanna è un
personaggio simpatico non meno del suo rubicondo marito. Del resto il
Carnevale, nella sua continua evoluzione attraverso il tempo, ha perduto del
tutto il significato di un rito propiziatorio e null’altro vuol essere se non
una lieta parentesi di spensieratezza nel fluire monotono dell’esistenza
quotidiana. Ma dell’antico Carnevale, oltre alle maschere, resta ancora il
senso di pazza allegria, lo scherzo e, soprattutto, la satira, nella quale
consiste, secondo me, uno dei significati più positivi del Carnevale. La
società ride di se stessa mediante le maschere, prende in giro se stessa con
gli scherzi, infine confessa le proprie colpe e manchevolezze, quando lo fa,
mediante il testamento. Il Testamento, a mio giudizio, ha un valore
fondamentale nel Carnevale, alimenta il gusto e le capacità creative della
poesia satirica in vernacolo, castigat ridendo mores (n.d.R. corregge i costumi
ridendo) e, pungolando vizi e manchevolezze, contribuisce a formare un costume
democratico. E’ bene, pertanto, che se ne continui la tradizione e che si
conservino i testi nelle biblioteche.
Lei
nella sua Tesi di Laurea parla di quattro elementi essenziali che compongono il
Carnevale di Termini Imerese, può descriverceli?
Esaminando
il Carnevale di Termini quale ci si presenta nei suoi aspetti tradizionali,
notiamo che quattro sono gli elementi essenziali che lo compongono: il Nannu,
la sfilata delle maschere, il testamento del Nannu, la morte del Nannu per
bruciamento. Da tali elementi possiamo dedurre l’importanza di questo
Carnevale, non tanto per l’apparato scenografico che lo caratterizza, quanto
per il contributo che esso ancora può dare agli studiosi del Carnevale
italiano. Infatti, tutti e quattro gli elementi suddetti, oltre a quelli
secondari, servono a testimoniare ancor meglio il carattere originario del
Carnevale il quale, come hanno messo in luce gli antropologi James Frazer
(1854-1941) e Arnold van Gennep (1873-1957), il folclorista Paolo Toschi e vari
altri studiosi, risale ad antichissimi riti pagani di rinnovamento.
Circa
le origini delle maschere, l’unica cosa certa e che sono state acquistate dal
compianto Cav. Agostino La Rocca e attualmente custodite dagli eredi,
escludendo gli apologhi che circolano in merito a queste due maschere, Lei ha
delle notizie attendibili riguardo la loro origine?
Quando
ho fatto la mia Tesi molti documenti sul Carnevale di Termini (alcuni
Testamenti del Nannu in versi vernacoli e le stesse maschere del Nannu e della
Nanna che ho potuto fotografare in Corso Vittorio Amedeo poste su un
tavolinetto) mi sono stati messi a disposizione dal signor Ignazio Casamento
che li teneva a casa sua. Quanto all’origine di queste due maschere non ho
notizie certe; però se il prof. Giuseppe Navarra, molto più anziano di me,
affermava che sono state costruite da un falegname di Termini, che le ha tenute
esposte nel suo laboratorio di falegnameria nel Corso Umberto e Margherita, è
probabile che le cose stiano proprio così.
Nel
libro del Prof. Giuseppe Navarra “Termini com’era” editrice GASM, 2000,
riguardo al Carnevale di Termini Imerese si parla dei giorni antecedenti alla
festa, i famosi quattro Giovedì, l’ultima Domenica e il gran finale del Martedì
grasso. Ci dia una descrizione di quegli anni.
Io
non ho letto il libro “Termini com’era" del prof. Giuseppe Navarra, mio
carissimo professore d’inglese, se riesco a trovarlo, lo leggerò volentieri.
Pertanto non so nulla dei quattro giovedì precedenti il Carnevale. Quando nel
1956 ho fatto la mia tesi nessuno degli anziani che ho intervistato, me ne
aveva parlato. Erano usanze già in disuso. Ne ho avuta notizia solo leggendo
l’articolo di Franco Amodeo sul Giornale di Sicilia del 1988, che li riporta
citando i ricordi del prof. Navarra. Comunque ha fatto bene il prof. Navarra a
scrivere i suoi ricordi delle antiche tradizioni pre-carnevalesche di
anteguerra a Termini, arricchendo quanto io non avevo saputo. E ha fatto bene
l’amico Franco Amodeo a parlarne nel suo articolo.
Professore,
un’ultima domanda, prima di questa intervista ha pubblicato qualcosa in tema di
Carnevale, sul folklore siciliano oppure su altri temi?
Sul
Carnevale di Termini, oltre a quanto scritto sulla mia Tesi, non ho pubblicato
più nulla. Sul folklore siciliano e su altri temi ho scritto molti articoli e
libri. Altri ne sto scrivendo.
Giuseppe Longo
Per le foto sul
Carnevale di Termini Imerese nel dopoguerra si ringrazia il sig. Antonino Surdi
Chiappone.
Inoltre si ringrazia il
prof. Luigi Ricotta per averci concesso la foto che lo ritrae nel giorno della
sua Laurea mentre espone la Tesi davanti al suo relatore prof. Giuseppe Cocchiara.





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