Carnevale di Termini Imerese
Giuseppe Navarra e il Carnevale di Termini Imerese
Termini Imerese 20 settembre 2012
Giuseppe Navarra (1893-1991) fu un uomo
di “sapere” che amò profondamente la sua terra natia, Termini Imerese. Dopo
aver frequentato nella propria Città gli studi di base, conseguì a Palermo la
Laurea in Scienze Economiche e Commerciali, ottenendo la specializzazione in
Scienze Coloniali. In seguito a Roma, presso il Ministero dell’Educazione
Nazionale, ottenne il Diploma in Lingua Inglese. Nel periodo della sua gioventù
(avvalendosi del titolo di Consulente in Diritto Commerciale e Scambi
Internazionali) ebbe modo di trasferirsi all’estero per approfondire gli studi di
Scienze Economiche presso l’Università di Duquesne e Pittsburgh (contee di Allegheny
nello stato della Pennsylvania) e proprio negli “States” vi rimase a lungo esercitando
la sua professione. I suoi viaggi di lavoro lo portarono a visitare anche altri
Stati: Canada, Messico, Egitto, Libano, Giordania e i paesi europei come
Francia, Inghilterra e Spagna. Nel corso della Prima Guerra Mondiale a
Washington ricoprì il ruolo di Segretario dell’Ambasciata d’Italia e di
Segretario della Commissione di Approvvigionamento della Marina Italiana.
Successivamente
rivestì l’incarico di Gerente del Dipartimento estero della “Midland Saving
& Trust Company”. Ebbe un amore
sviscerato per l’archeologia e prima che ritornasse nella sua Termini Imerese,
partecipò a diverse Missioni archeologiche in Messico (Yucatan) e in Egitto
(Luxor). A Termini Imerese si occupò della tutela dei numerosissimi Beni
Culturali e approfondì le sue conoscenze nel campo del folclore e del dialetto
termitano. Fu docente di lingua Inglese nel liceo classico “Gregorio Ugdulena”
e divenne Ispettore Onorario alle Antichità delle province di Palermo e Trapani,
Ispettore Onorario ai monumenti della Sicilia Occidentale, Membro dell’Archeoclub
di Roma e Membro del Consiglio Internazionale dei monumenti e siti di Parigi.
Nel 1963 durante gli scavi esplorativi del sito archeologico di Himera,
collaborò con l’Istituto di Archeologia dell’Università di Palermo. Il Navarra
inoltre per diversi anni su incarico della Curia Arcivescovile di Palermo
studiò sistematicamente la Chiesa di S. Giacomo Apostolo Maggior antica Chiesa
Madre di Termini Imerese.
All’interno di essa scoprì degli affreschi che erano
stati poi intonacati. Le sue particolari doti umane lo portarono a rivestire la
carica di Presidente dell’Istituto filantropico Opera Pia “Inguaggiato” e fu
Socio fondatore della “San Vincenzo De Paoli” a Termini Imerese. Scrittore
versatile fu corrispondente del Giornale di Sicilia e collaboratore delle riviste
“Europeo” e “Palermo”. A lui si devono numerosi articoli di archeologia,
storia, finanza e di dialettologia. Ebbe numerosi riconoscimenti onorifici: nel
1959 medaglia d’argento come “Benemerito della Scuola, della Cultura e dell’Arte”,
nel 1963 Cavaliere nell’Ordine al merito della Repubblica Italiana. Il suo nome
è stato inserito nel “Dictionary of international biography 1976” edito in
Inghilterra, a Cambridge. Nel 1991 dal Comune di Termini Imerese veniva
pubblicata la sua opera “Locuzioni e modi proverbiali nella parlata di Termini
Imerese”.
Nel 1996, a cura del prof. Peter Dawson, docente di Lingua e
Letteratura inglese all’Università degli Studi di Palermo e della prof.ssa
Francesca Orestano, docente di Lingua e Letteratura inglese e Letteratura
anglo-americana all’Università di Milano, veniva pubblicato il libro di
Giuseppe Navarra, “Il dizionarietto di un Italiano in America”. E nel 2000 a
nove anni dalla sua scomparsa era dato alle stampe “Termini com’era” a cura dell’antropologo
prof. Salvatore D'Onofrio, docente nella Facoltà di Lettere e Filosofia
dell'Università di Palermo e membro del laboratorio di Antropologia Sociale del
Collège de France. Il nome di Giuseppe Navarra è anche legato al Carnevale di
Termini Imerese. E’ interessante riportare
quanto il prof. Giuseppe Navarra scrive sul Carnevale Termitano nel suo
libro "Termini com'era" GASM, 352 pp. 2000, nel capitolo “Le feste
calendariali” alla voce “Carnalivari”.
E’ una testimonianza del modo di vivere a Termini Imerese nel
dopoguerra, in occasione della festa del Carnevale, un’esistenza piena di
stenti per le condizioni di vita e dall’alta percentuale di povertà ma senza
dubbio un modo di vivere più genuino e privo di fronzoli. A quell’epoca ci si
accontentava di poco per divertirsi. Ecco quanto scrisse il Navarra.
«Da noi il Carnevale non finiva più.
Cominciava il giorno dopo l’Epifania e terminava col Martedì grasso. Il giorno
stesso dell’Epifania, a Termini Bassa si sentiva il cupo suono della brogna, quel tritone che una volta si
pescava occasionalmente nel nostro mare, ed i monelli andavano gridando per le
strade: “Doppu li ti Rrè, Olè, Olè”
(N.d.r. dopo i tre Re Olè Olè). Erano già venuti, e continuavano a venire i
venditori di tammureddi (N.d.r.
piccoli tamburi), cerchietti di legno di tutte le dimensioni con un lato
coperto da una membrana, e con incorporatevi dei pezzetti di latta che
vibravano quando lo strumento veniva agitato o percosso. L’indomani
dell’Epifania i monelli già uscivano per strade, con in faccia una maschera e
gridando: “Ih, eh, Carnalivari iè, Ih,
eh, Carnalivari iè” (N.d.r. Ih, eh, Carnevale è, Ih, eh, Carnevale è). La
primavera che si avvicinava dava a tutti un senso di euforia, e nasceva in
ognuno il desiderio di svagarsi e distrarsi; mancava la radio e la televisione,
mancava il cinematografo e si era così pervasi da un bisogno di allegria e
spensieratezza. Per prima cosa spuntava il calài.
Si trattava di un vistoso pezzo di carta, o di stoffa, assicurata ad uno spillo
ridotto ad uncino, che si attaccava destramente di soppiatto, a ridosso del
vestito, scialle o mantello di un povero cittadino che, ignaro, tranquillamente
passeggiava per la via.
La vista di una persona che, così conciata, camminava
per i fatti suoi, destava molta ilarità, finchè le risatine, le occhiate
significative e il cannalivari iè
gridato da qualche monello non avvertiva il merlo che gli era stato giocato un
tiro. I mascarati (N.d.r. persone che
indossavano la maschera) a volte a frotte, si vedevano ogni giorno in ogni
parte della città, ed i giovedì e le domeniche, quando si ballava in casa di
privati, avevano facoltà di partecipare ai balli, ma dovevano prima farsi
riconoscere, togliendosi la maschera. I giovedì di carnevale prendevano i nomi
di “iòviri ddi li cummari”, “iòviri ddi li parenti”, “iòviri zzuppiddu” e “ggioveddì rassu” (N.d.r. giovedì delle
comari, giovedì dei parenti, giovedì del diavolo e giovedì grasso) ed in ognuno
di questi giorni la baldoria aumentava e la cucina era più doviziosa non
mancando mai la salsiccia, cotenna e carne di maiale, a costo, magari, di fare
qualche debituccio. Il “ggiveddì rassu”,
specialmente, le maschere ed i domino (n.d.R travestimento di carnevale
composto da un ampio mantello con cappuccio) erano numerosissimi, e le case
private in cui si ballava a suo di fisarmonica, di mandolino e di friscalettu (N.d.r. strumento musicale a
fiato simile al flauto) non si contavano più. Qualche volta compariva anche il mariolu (scacciapensieri). Nell’ultima
domenica di carnevale l’animazione cresceva e l’atmosfera gioiosa pervadeva
tutti, ma il gran giorno, “martedì rassu”
si scatenava la baraonda. Maschere, frastuono, petardi trombe e trombette, brogne, getti di cipria.”…” Ma
ritorniamo al martedì grasso.
Salvo qualche disgraziato, e ce n’erano, le
provviste erano state abbondanti, e a mezzogiorno il pasto era stato fuori
dall’ordinario, perché si era lasciato allo stomaco ampio spazio per il
baccanale della sera. Imperava la carne di maiale che era presente nelle sue
varietà, ed i giardinieri avevano scannato il maiale che avevano allevato nel
loro giardino. Non si poteva in nessun modo rinunziare alla pasta fatta in
casa, e la madre di famiglia aveva già preparato i maccheroni che venivano
stesi su canne ad asciugare. Annotando avveniva un gran concorso di popolo per
il rogo che attendeva il povero nannu, un fantoccio appeso ad una canna, dietro
il quale procedeva lentamente la calca che gridava con voce lamentevole: “nannu miò”, “nannu miò (N.d.r. Nonno mio, Nonno mio). Una persona con voce
stentorea, tra le grida di ilarità, leggeva quindi il testamento del morituro,
in forza del quale persone conosciute da tutti ricevevano in eredità il
bastone, l’orologio, la caiella
(soprabito), le pantofole, la pipa, l’orinale ecc. Finita la lettura il povero
nannu era dato alle fiamme come un malfattore, tra le grida ed i lamenti dei
presenti, che erano assecondati dalla fasuledda della musica (N.d.R. componimento che viene
ballato in cerchi seguendo la velocità del ritmo che va alternandosi) Ed ora
tutti i pensieri erano rivolti alle tante cose da ingozzare.
Un gran piatto di
maccheroni allo stufato di maiale, condito con ricotta: cotenna, mollame,
salsiccia stufata e arrostita, insalata, olive nere e bianche alle quali
seguivano arance e finocchi. Chiudeva la festa il principe dei dolci, il
cannolo, che allora aveva una lunghezza e un diametro considerevoli, seguito da
noci e mandorle abbrustolite. Che aiutavano a mandare giù rispettabili quantità
di vino, a quei tempi ricavato dall’uva, per “ccomu è bberu Ddiu” (n.d.R come è vero Dio “vino verace”) come si
diceva. Se i fumi dell’alcol non avevano ancora ottenebrato le menti, potevano
seguire scherzi, facezie e indovinelli, mentre i più giovani ballavano la
tarantella. Fino a notte alta si giocava a tombola o a ssetti e mmenzu (N.d.r. gioco del sette e mezzo) La parola
Carnalivari si riferisce a persona inetta, goffa, maldestra e superficiale».
Ancora oggi il prof. Navarra è ricordato
per la sua erudizione e per il suo spirito acuto nell’osservare la realtà
cittadina della “Termini com’era”.
Si ringrazia per la foto del prof.
Giuseppe Navarra, la prof. Antonella Tripi e per le informazioni biografiche la
prof. Maria Teresa Castiglione Navarra.
Inoltre un grazie particolare al sig.
Antonino Surdi Chiappone per la concessione delle foto del Carnevale di Termini
Imerese nel dopoguerra.
Giuseppe Longo




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